Note critiche

Note sull'arte di Letizia Ardillo

La Biblioteca Centrale Nazionale è senza dubbio la sede più pertinente ed appropriata per una mostra con opere di Letizia Ardillo e Vittorio Fava. Direi, anzi, che la produzione dei due artisti è per molti versi complementare ad una biblioteca, luogo deputato alla lettura ed alla memoria. Infatti, mentre Vittorio Fava è un infaticabile costruttore (e stavo per scrivere: manipolatore) di libri d’artista, la matrice del discorso artistico di Letizia Ardillo è l’alfabeto ebraico. E se l’uno si spinge con le sue creative scorribande, per così dire, fino all’alchimia, l’altra per estensione giunge alla Cabala, ovvero qabbaláh, kabbalah, cabbala, con cui a partire dal XII secolo nell’ebraismo fu diffuso l’insieme di insegnamenti esoterici e mistici, intesi a spiegare il rapporto tra l’infinito immutabile e misterioso, e l’universo mortale e finito. 

(…)|Per Letizia Ardillo, che, oltre ad esperienze di teatro sperimentale e realizzazioni di video e cortometraggi, ha alle spalle un’attività di scenografa in diversi film, tra cui Otello di Zeffirelli, torniamo alla pittura. Ma una pittura a tecnica mista, in cui le foglie d’oro o d’argento vengono coniugate ad acrilico, olio e talvolta ad interventi di china, matita, pastelli, gesso e collage, per adeguarsi ai sostrati simbolici propri alla Cabala ed all’alfabeto ebraico su cui procede da anni il suo “navegar pitoresco”.

Uno dei leit motiv del discorso della Ardillo è il cerchio, in diversi casi in coabitazione con l’alfabeto ebraico, come attestano Bing Bang del 2004, Il vestito dell’anima del 2013, La scala di Giobbe del 2014, Albero della vita del 2015 e collaterali opere, comprese quelle in cui il cerchio si fa disco (Shem, 2010) o si fa sfera a mimare globi, ed è il caso di I cinque mondi del 2013, in cui due pianeti (o lune?) spaziano tra “stelline” nel buio  di un cosmo simbolico tra  morfologie curvilinee che sembrano frammenti di lettere ebraiche[1]. Del resto memorie di grafie di alcune delle 22 lettere ebraiche sono restituite dall’artista come motivi pittorici, e penso ad uno dei dipinti del ciclo I cinque mondi, nella fattispecie quello in cui una fascia serpentina è inscritta in un cerchio azzurro circondato a corona da puntini bianchi che divengono 10 tondi sul nero vuoto cosmico, simbolo dell’infinito. Se i puntini bianchi per l’artista sono scintille di luce (nitòts nella mistica ebraica) e con esse nel 2012 la nostra artista ha realizzato su pergamena Scintille, distribuite con diverse circolarità in dilatazione su un cielo per metà blu e metà nero, come se calasse la notte, il numero 10 rimanda ai gradi di una scala che va da Dio al mondo sensibile, cioè le sefiròt, la cui rappresentazione grafica è composta da cerchi sistemati in verticale, 4 al centro e 3 al lato sinistro e 3 al lato destro, collegati tra loro da 22 linee rette, ovvero 22 “canali” (3 orizzontali, 7 verticali e 12 diagonali) ciascuno dei quali corrisponde ad una lettera dell’alfabeto. L’artista in un suo commento dattiloscritto non manca di informarci che gli “antichi cabbalisti ritennero il dieci esprimesse la struttura profonda dell’essere e fosse il modo migliore per rappresentare l’intero cosmo”. Su tali basi ella ha realizzato nel 2015 su pergamena con acrilico, foglia d’oro, china e matita il suo Albero

della vita, sequenza verticale di 5 sovrapposti cerchi in misure crescenti a scendere e con 7 pianetini collaterali più uno all’interno del cerchio in basso, ovviamente il più grande. La composizione di quest’opera, come anche altre di Letizia Ardillo, quali La scala di Giobbe, che come l’Albero della Vita, sale dalla terra al cielo[2], riecheggia, mutatis mutandis, il grafico delle 10 sefiròt, tutte con nomi, riferimenti somatici e varie associazioni simboliche[3].

Al di là di tutti i sostrati cabalistici e simbolici che ispirano Letizia Ardillo, la produzione pittorica per quanto mi riguarda va valutata sul piano estetico. Purtroppo in questa sede non possono essere presenti per causa delle grandi dimensioni molte delle opere citate e neanche Sefer Yetzira (2007) di 2 metri di base per 1,20 di altezza. Questo lavoro restituisce un ulteriore aspetto del “navegar pitoresco” dell’artista romana. Infatti in esso il protagonista è un quadrato al centro ruotato di circa 90° e contenente lettere, nonché tagliato a metà da ombra e luce, per cui visivamente appaiono due triangoli, uno oscurato con le lettere in negativo e l’altro illuminato con lettere in positivo. Sul fondo color oro altri giochi di luce e ombra determinano sommessi trapassi di tono ai lati dei quali 3 piccoli cubi, come se cadessero in verticale nel vuoto, creano i giusti contrappesi visivi della composizione.

Per Mircea Eliade la mistica esoterica cabalistica ha contribuito“a corroborare – direttamente e indirettamente – la resistenza spirituale delle comunità ebraiche della Diaspora. Inoltre, per quanto fosse insufficientemente conosciuta e mediocremente compresa da taluni pensatori cristiani durante e dopo il Rinascimento, la Cabbalà ebbe una sua importanza nel processo di ‘deprovincializzazione’ del cristianesimo occidentale. In altre parole, essa costituì parte integrante della storia delle idee dell’Europa nel periodo tra il XIV ed il XIX secolo”[4]. E aggiungerei anche oltre, se consideriamo quanto importante è per Letizia Ardillo, la cui arte ne è costantemente alimentata.

Tuttavia ella riesce a dare libero sfogo alla sua creativa imagerie soprattutto nel ciclo delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, la cui forma per lei ha avuto la facoltà di attivare particolari vibrazioni e associazioni sia iconiche che simboliche, nonché tecniche. In esse il temperamento grafico dell’artista si esalta, com’è soprattutto nel cranio che spicca sull’anfora ed i solidi geometrici in Resh. Mentre in altri lavori la bussola della sua creatività la porta a soddisfare il suo temperamento grafico attraverso il collage del disegno di un occhio e di altri elementi di varia morfologia giustapposti su testi altrui scritti a mano, che a ben vedere è sempre, ancorché per trasposizione, un ossequio al proprio temperamento grafico.

Secondo gli ebrei l’universo è stato creato attraverso la parola, come si legge nella Genesi, scritta in ebraico, le cui lettere per ciò appunto possiamo definire della creazione. Come il fiat lux pronunciato da Jahvè dissipò le tenebre che avvolgevano la terra, le lettere ebraiche hanno portato luce nell’immaginazione di Letizia, la quale ha saputo trasformare il segno grafico di una ot (lettera) in mondo di immagini e significati, creando così il suo mondo. A cominciare dall’aleph, la prima lettera che deriva dal fenicio, in cui significava “bue” ed infatti era nata dalla sintesi grafica della testa di un bue[5]. In ebraico l’aleph ha anche valore di1 e, come abbiamo già visto, “Uno è Tutto” e, se non contiene il Tutto, è nulla, come ben sapeva il sommo Jorge Luis Borges, autore dell’indimenticabile racconto L’Aleph.

Estendendo tale concetto, potremmo dire che per Letizia Ardillo l’Uno è l’alfabeto ebraico e la Cabala il Tutto.

Giorgio Di Genova

 Testo tratto dal catalogo della mostra “ermetica” che si è tenuta presso la Biblioteca Nazionale di Roma  dall’11/06/2015 all’11/07/2015.

 

[2] Su di essa gli angeli scendono in terra e salgono in cielo.

[3]Keter, Chokhmah, Binah, Chessed o Ghedullah, Ghevurah o Pahad o Din, Tiferet o Rachemin, Nezach, Hod, Yessod, Malkuth o Shekhinah. Per esempio, Keter: il cranio, il volto / il Messia/ l’inconoscibile ecc.; Chokhmah: l’emisfero cerebrale destro / Mose e Adamo; Binah: il cuore e l’emisfero cerebrale sinistro / Lea, Mosè, Noè e così via. L’Albero della Vita è assimilato al corpo umano ma anche al sostegno dell’Universo (Axis Mundi)

[4]Cfr. M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. III, Sansoni, Firenze 1983, p. 187.

[5] Le due “corna”, che ritroviamo nell’alfa greca, per rotazione della lettera, sono divenute le gambe della maiuscola (A). In ebraico l’aleph deriva dal glifo egizio. Va ricordato che nell’antichità, dall’Egitto alla Grecia, e non solo (ancor oggi in India lo è), il bue era considerato sacro, ciò può aiutare a spiegare perché l’alef in fenicio e ebraico, come l’alfa in greco e la a in latino, siano la prima lettera dell’alfabeto.

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